Insonnia e depressioneNell’adolescenza l’angoscia è frequente
e rientra nelle ”turbe” dell’età.

Tuttavia, se questi stati hanno manifestazioni di particolare evidenza e frequenza, potrebbero essere segnali di una incipiente patologia.
Le manifestazioni somatiche da considerare sono rappresentate da palpitazioni, vertigini e vomito a cui si accompagnano stati di paura.
E’ importante la massima attenzione da parte dei genitori che, senza sottovalutarle o impaurirsi, dovranno accompagnare il giovane dallo specialista (lo psichiatra).
Dette patologie se prese in tempo e ben curate, grazie anche ad una “matura” attenzione da parte dei genitori, possono risolversi.

L’adolescenza – afferma lo psicoanalista inglese Donald Winnicott“e’ una scoperta personale durante la quale ogni soggetto e’ impegnato in un’esperienza: quella di vivere; in un problema: quello di esistere”.

Questa lunga fase di scoperta segnata da numerosi cambiamenti somatici e psichici, e’ finalizzata ad un assetto nuovo ed originale del soggetto.
Ma questo nuovo ed originale puo’ essere anche e soprattutto causa di turbamenti: come l’angoscia di perdere, nella trasformazione, l’unità del Se’; il timore di un ritorno ad un’impotenza infantile originaria; il rischio di una chiusura in se stessi per l’incapacita’ di far fronte alle nuove e pressanti richieste dell’ambiente.

Tuttavia questa scoperta rappresenta anche una fase stimolante e creativa, perche’ apre a nuove esperienze, nuove possibilita’.
Le numerose, a volte contrastanti teorie dello sviluppo adolescenziale, sono raggruppabili in due visioni fondamentali.

La prima considera l’adolescenza come una fase certamente difficile, ma complessivamente creativa e positiva: una sorta di “working in progress“.
E’ la tesi di Erik Erickson, di Heinz Kohut, di Donald Winnicott.

La seconda invece considera l’adolescenza come una fase pericolosa e drammatica del ciclo vitale, che puo’ oscillare tra un sicuro turmoil ed un probabile break-down e comporta sempre un prezzo elevato.
E’ la tesi di Melanine Klein, di Margareth Mahler, di Anna Freud, di M. Egle’ e di Moses Laufer (quest’ultimi nel volume Adolescenza e Breakdown evolutivo) che sembrano confermare le parole del poeta Paul Nizan: “Ho avuto anch’io vent’anni e non permettero’ a nessuno di affermare che e’ la piu’ bella eta’ della vita”.

Tra queste due polarita’, riteniamo piu’ aderente alla realta’ considerare l’adolescenza come una fase dello sviluppo, caratterizzata fondamentalmente da una probabile disarmonia piu’ o meno temporanea, dovuta all’emergenza di pressioni biologiche, psicologiche e sociali che, prima di configurarsi in un nuovo assetto, inevitabilmente si presentano e sono vissute dal soggetto e dal gruppo sociale, come mancanza d’integrazione, come sospensione tra un passato inattuale e un futuro solo appena abbozzato.

    S. aveva 18 anni, studentessa in Scienze Biologiche, di famiglia benestante, aveva rapporti conflittuali soprattutto con la madre che insisteva perche’ mangiasse.
    Era anoressica da qualche anno e anche per questo aveva interrotto la sua relazione con il fidanzato.
    Faceva molto sport e un grande uso di lassativi.
    Aveva continue vertigini e lipotimie per la sua scarsa alimentazione, che invece lei imputava all’ipotensione.
    Non era inserita socialmente e aveva un fratello con il quale non era in buoni rapporti.
    Rifiutando la psicoterapia e anche la terapia farmacologica, si uccise con 60 cpr di potassio.

Analizzando un campione di 50 pazienti tra i 14 e 20 anni presso uno studio di medicina generale a Firenze, e’ possibile fare alcune considerazioni.
Come dicevamo, per molti studiosi l’adolescenza e’ l’ultima fase dell’età evolutiva, interposta tra l’infanzia e l’eta’ adulta, caratterizzata da una serie di modificazioni somatiche, neuroendocrine e psichiche che accompagnano e segnano l’età puberale.

Questa fase puo’ essere vissuta con difficolta’ che si rende evidente nei comportamenti e nelle variazioni dell’umore tipiche di questa eta’.
Se si puo’ pensare che l’angoscia individuale adolescenziale dovrebbe risolversi con lo sviluppo, e’ anche dimostrato che spesso s’individua un segnale di malessere psichico che puo’ sfociare nel suicidio.

    Emblematico e’ il caso di M., 20 anni, che ha perso il padre quando aveva 7 anni e che ha crisi d’identita’, il quale afferma di

considerare come unica soluzione alla sua sofferenza il suicidio

    , mezzo per poter raggiungere una condizione ritenuta superiore.

Parlando di adolescenza un fattore su cui insistono tutti, sia pure con accenti diversi, e’ senza alcun dubbio l’acquisizione di competenze sessuali e generative. Gli impulsi, i bisogni, le capacita’ del corpo sessuato e generativo determinano nella mente emozioni, rappresentazioni, fantasie e pensieri che hanno bisogno di un certo periodo di tempo per riuscire a pervenire alla costruzione di una immagine corporea integrata come base per poggiarvi la scelta di valore dell’identità di genere e dell’identità sessuata.

L’adolescente aspirante suicida e’ in posizione di stallo rispetto all’espletamento di questo compito e non puo’ considerarsi casuale che eserciti violenza nei confronti del proprio corpo.
Le ipotesi di perche’ ciò succeda sono diverse. Scorriamone solo alcune.

Francois Ladame sostiene che il corpo adolescenziale si presta, proprio perche’ non ancora del tutto mentalizzato a divenire la sede nella quale viene proiettato il persecutore interno.
Nella sua prospettiva il tentativo di suicidio e’ il modo col quale l’adolescente cerca di liberarsi del persecutore fuso col proprio corpo e al tempo stesso di arrendersi alle sue istanze di odio al fine di raggiungere la quiete.
I Laufer appaiono convinti che gli adolescenti suicidi odino il proprio corpo perche’ le sue nuove istanze contrastano col profondo bisogno di conservare l’illusione di una appartenenza alla madre; percio’ il corpo viene attaccato in quanto persecutore esso stesso, non in quanto sede di proiezione del persecutore.
Pommereau sottolinea anch’egli l’instabile e controversa relazione col corpo degli adolescenti suicidi ma ritiene che la relazione con gli oggetti esterni giochi un ruolo essenziale.
Gli psicoanalisti francesi Daniel Marcelli e Alain Bracconier pensano che il corpo sia coinvolto in una grave vicenda depressiva e che percio’ esso venga attaccato in quanto sede della vita che deve essere spenta a causa dei sentimenti di inadeguatezza, indegnita’ e colpa.

Un secondo fattore specifico della fase evolutiva adolescenziale che viene evidenziato come promotore di istanze suicidali, e’ il processo di separazione dalla madre.
Ladame sostiene che tanto piu’ cercano di separarsene tanto piu’ sono esposti al rischio di doversi sottomettere al suo dominio in quanto sono profondamente identificati con le sue ragioni, cioe’ col suo disprezzo.
I Laufer sostengono che la separazione e’ impossibile perche’ il bisogno di ricongiungersi con la madre buona e’ troppo forte.
Pommereau sostiene che la separazione diviene difficile perche’ la madre esterna, quella dell’adolescenza non la consente, imponendo all’adolescente di rimanere figlio.
Marcelli pensa che la separazione provochi lutto in un adolescente gia’ molto a rischio dal punto di vista di scivolamenti depressivi.

Un terzo fattore di rischio è il contesto familiare adolescenziale; l’inadeguatezza dei genitori a sostenere il figlio nel processo di crescita gioca un peso determinante nel pensiero di tutti gli autori.
Secondo lo psichiatra e psicoterapeuta milanese Gustavo Pietropolli Charmet all’origine di questa sofferenza adolescenziale che puo’ esitare nel tentato suicidio – suicidio c’e’ la presenza di un ostacolo insormontabile rappresentato da un “oggetto esterno”, come la societa’ e la famiglia, la scuola, i coetanei e le persone care che portano il giovane al tentato suicidio che rappresenta una speranza di essere capace di fare qualcosa di attivo, definitivo, coraggioso per risolvere un problema.

Frequentemente la causa scatenante e’ data da eventi scolastici vissuti dai ragazzi come mortificanti e intollerabili, un problema familiare (morte di un genitore o divorzio), una delusione amorosa o un insuccesso qualunque.

    G., 16 anni, che vive con la madre e che ha perso il padre quando aveva 5 anni, ha tentato tre volte il suicidio in seguito a violenti litigi con il fidanzato (in questo caso come parasuicidio, simulando il taglio delle vene, l’avvelenamento con 4 cpr. di Tavor e gettandosi da un primo piano rimanendo illesa);
    F. invece, 18 anni, vive con i suoi genitori molto apprensivi, ha avuto problemi con il ragazzo, due aborti e ora ha gravi turbe alimentari, confabula e pensa spesso al suicidio.

Genitori e persone care hanno una funzione fondamentale perche’ dovrebbero fornire i modelli di ruolo dell’adulto ed aiutare l’individuazione della propria personalita’.
Allora il giovane si confronta con questi modelli, con i valori e i traguardi raggiunti dai genitori, cercando comunque l’indipendenza fisica e psicologica in un momento in cui pero’ ha bisogno di aiuto e comprensione.
A questo si puo’ aggiungere un rapporto particolarmente intenso con la madre che puo’ diventare un ostacolo insormontabile, oppure la presenza di un padre che dovrebbe introdurre nell’esperienza del bambino un oggetto diverso, che presentifica una diversa possibilita’ di rapporto, una nuova dialettica, e che invece si presenta come “padre maternalizzato”, come lo definisce Ladame, con conseguente sentimento di minaccia e insicurezza nel ragazzo che cerchera’ aiuto nel “gruppo” di coetanei.

La situazione familiare allora e’ sicuramente un fattore predisponente, anche in relazione alla presenza di precedenti suicidi, a disturbi psichiatrici o di altro tipo tra parenti.

    Nel caso di T., ad esempio, 15 anni, che soffre di bulimia vomitante e ha idee suicide (progetta il suicidio e cerca il metodo adatto per darsi la morte), il problema e’ il rapporto con un padre assente perche’ impegnato a risolvere i problemi di tossicodipendenza del secondo figlio;
    o ancora nel caso di H., 14 anni, che soffre di allucinazioni uditive che la spingono a compiere gesti inusuali e ad avere idee suicide soprattutto di notte, il problema e’ l’assenza del padre che sta spesso fuori citta’ per motivi di lavoro.

Accanto alla famiglia si deve considerare la scuola ed il rapporto con i docenti, usati per proiettare i propri bisogni all’esterno e spesso loro divengono quegli ostacoli insormontabili che si sostituiscono al vero problema, ad esempio un genitore disturbante; la scuola e’ un oggetto intermedio fra la famiglia e la societa’.

Sono anche fattori predisponenti l’abuso di alcool e di droghe, anche se questi sono in genere considerati “suicidi lenti” che solo accidentalmente portano alla morte.

Comportamenti frequentemente associati ad un rischio di suicidio nei giovani sono: il parlare di morte, di suicidio o farsi del male; la presenza di panico o d’ansia cronica; una insonnia costante; cambiamenti nelle abitudini di sonno e/o alimentari; recenti e ripetuti fallimenti scolastici e/o lavorativi; la perdita di oggetti particolarmente cari.

E’ utile, infine sapere che se il 40% delle persone che tentano il suicidio ci avevano precedentemente provato almeno una volta, tra i giovani questa percentuale scende al 25% e il rapporto fra intenzionalita’ e passaggio all’atto e’ confuso e labile. Il fine di un’attenta analisi deve essere la prevenzione come primo passo verso un aiuto concreto, individuando in molti giovani la “disperazione” intesa come stato di angoscia, urgenza di risolverla e quindi impulsivita’, sia in soggetti predisposti che non; un individuo puo’ diventare incapace di far fronte alle sue difficolta’ e tentare il suicidio anche come misura estrema di difesa.

Parte di quest’articolo è stata pubblicata
su Toscana Medica N°9, Ottobre 2007

articolo tratto da psico-pratika