Robin-Williams_0La depressione è uno dei disturbi mentali più comuni, tanto che colpisce oltre 350 milioni di persone in tutto il mondo e si stima che causi circa 850.000 morti ogni anno. In realtà, il problema principale è che più della metà di chi ne soffre non si sottopone a trattamento terminando per dare libero sfogo alle idee suicide.

L’incomprensione che la persona incontra intorno a se contribuisce ad aggravare i sintomi della disperazione e della solitudine. Spesso, chi sta vicino alla persona depressa, ha una visione sbagliata di questo disturbo, perché pensa che si tratti di un problema caratteriale che può essere superato semplicemente con la forza di volontà.

Certo, questo problema non riguarda solo la persona depressa, ma anche coloro che la amano e condividono la loro vita con lei. Tuttavia, nonostante quanto abbiamo letto e imparato circa la depressione, non riusciamo davvero a capire che cosa prova la persona depressa.

Fortunatamente, esistono delle ottime produzioni cinematografiche dedicate alla depressione che possono aiutarci ad avere una prospettiva più realistica di questo disturbo.

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Gente-comuneGente Comune (Ordinary People del 1980). Diretto da Robert Redford, il film ha vinto quattro premi Oscar e alcuni Golden Globe. Vi avviso che si tratta di un film piuttosto lungo, ma vale la pena guardare fino all’ultimo fotogramma. Racconta la vita di una tipica famiglia borghese con due figli. Quando uno di loro muore in un incidente, l’altro sperimenta una situazione angosciante, sviluppa un senso di colpa che gli causa una profonda depressione e gli fa commettere vari tentativi di suicidio.

A partire da questo punto inizia un film che ci mostra un giovane uomo che è diviso tra l’estrema indifferenza della madre (che lo rimprovera per essere sopravvissuto al figlio preferito) e la finta allegria del padre. Particolarmente interessante è il dialogo tra i genitori (Donald Sutherland e Mary Tyler Moore), in quanto mostra come certe credenze e comportamenti possono aggravare la depressione di qualcuno che ci sta vicino.

 

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Prozac Nation (2001). È un adattamento del best-seller omonimo di Elizabeth Lee Wurtzel, dove la scrittrice e giornalista statunitense narra il suo percorso attraverso la depressione maggiore. Con Christina Ricci nel ruolo della protagonista, sappiate che non dovete aspettarvi una grande opera dal punto di vista cinematografico, ma il film è molto interessante per capire i conflitti vissuti da una persona depressa e i problemi affrontati da coloro che gli stanno vicino, come sua madre (interpretata da Jessica Lange).

In questo film si apprezza perfettamente la sensazione di mancanza di controllo sulle emozioni che caratterizza le persone depresse e la loro inutile lotta per uscire da questo stato, una battaglia quotidiana che diventa estenuante. Interessante anche il modo in cui il protagonista si aggrappa agli oggetti esterni (come il marito), nella speranza che sia la sua salvezza, così come le continue ricadute, che mostrano una visione meno zuccherina e più realistica della depressione maggiore.

 

2MlUTLP9j5rQJzNfMOqltrgt87qA proposito di Schmidt (2002). Questo film, interpretato da Jack Nicholson, racconta la storia di un vecchio che è appena andato in pensione. Avendo vissuto esclusivamente per l’azienda, si sente completamente perso e fuori luogo senza il suo lavoro. A peggiorare le cose, la moglie muore improvvisamente lasciandolo solo. Nicholson cerca l’appoggio di sua figlia, ma si rende conto che non c’è posto per lui nei suoi piani.

A differenza di altri film in cui la tristezza domina su tutto, in questo film i momenti di dolore si alternano a commenti sarcastici e situazioni divertenti, che alla fine, lasciano un buon sapore in bocca. Si tratta di un ottimo film che aiuta a comprendere la depressione causata da una perdita, dalla vecchiaia e dalla solitudine.

 

 

48161Mr. Beaver (The Beaver del 2011). Diretto e interpretato da Jodie Foster, racconta la storia di un padre di famiglia (Mel Gibson) alla guida di una società sull’orlo del fallimento. Gibson cade subito in una profonda depressione che colpisce le sue relazioni familiari e lo conduce sull’orlo del divorzio. Dopo diversi tentativi di suicidio, entra in uno stato molto simile al disturbo dissociativo dell’identità. Infatti, inizia a parlare attraverso un pupazzo dalla forma di castoro e trova così la forza di apportare tutte le modifiche necessarie per migliorare la sua vita. Tuttavia, quando non riesce a parlare attraverso il burattino, la depressione lo assale di nuovo.

Ovviamente, dal punto di vista meramente psicologico, Jodie Foster si è presa alcune licenze cinematografiche, ma la cosa interessante di questo film sono i rapporti che vengono stabiliti internamente alla famiglia e il dialogo interiore che sperimenta Gibson stesso.

 

220px-Revolutionary_roadRevolutionary Road (2008). È il ritratto di un giovane matrimonio visto attraverso gli occhi di Frank (Leonardo DiCaprio) e April Wheeler (Kate Winslet). La storia è ambientata negli anni ’50, ma la verità è che gli argomenti trattati sono perfettamente attuali. Kate Winslet è una giovane donna piena d’energia e di sogni, ma DiCaprio preferisce confidare nella comodità di una vita banale e gradualmente mina la voglia di vivere della moglie.

Anche se hanno una bella casa e una bella famiglia, la routine quotidiana, l’incapacità di realizzare i suoi sogni, e il fatto di essere bloccata in un ruolo che non desidera insieme all’incomprensione del marito, conducono la Winslet in una profonda depressione.

 

 

a-single-man-poster-1A Single Man (2009). Ambientato negli anni ’60 nel sud della California, il film parla di un professore universitario omosessuale che ha a che fare con la morte improvvisa del suo compagno, con il quale aveva condiviso quasi 20 anni della sua vita. Il film inizia nel giorno in cui Colin Firth, che è il protagonista, decide di suicidarsi.

La cosa interessante del film è il dialogo che mantiene il protagonista con se stesso che lascia intravedere il modo in cui le persone depresse tendono a vedere il mondo, sempre come un bicchiere mezzo vuoto. Il finale, troppo melodrammatico per i miei gusti e contrariamente a quanto si potrebbe supporre, è un vero e proprio inno alla vita.

 

 

images (1)Helen (2009). Questo è probabilmente uno dei film che meglio rappresenta la depressione e il suo impatto sulla vita della persona. Ashley Judd è un insegnante di musica e un eccellente pianista che ha apparentemente tutto. Tuttavia, gradualmente la depressione la va consumando. Non c’è stato un elemento scatenante, e lei non riesce a trovare una ragione specifica, e questo gli crea ulteriore disagio.

La protagonista cerca di combattere questi sentimenti, aggrappandosi al marito, alla figlia e ai suoi studenti, ma non riesce e, davanti ad ogni tentativo fallito, la distanza tra lei e gli altri si acuisce. In realtà, ci sono dei momenti in cui la protagonista, piuttosto che simpatia, suscita molta antipatia nello spettatore, ma questa è proprio la triste realtà che vivono le persone depresse.

Si tratta di un film che ha tentato di concentrarsi sulla depressione stessa, presentando quello che potrebbe essere considerato come un “caso da manuale”, così ci offre un quadro molto preciso di quello che provano le persone depresse. Dopo un tentativo di suicidio, Ashley Judd viene ricoverata in ospedale per essere sottoposta a trattamento.

 

9Un angelo alla mia tavola (1990). Questo film neozelandese è piuttosto lungo, ma vale la pena ogni minuto speso per vederlo. La regia è di Jane Campion, e racconta la vita della scrittrice Janet Frame, che è nata in una famiglia povera e numerosa. La sua infanzia fu segnata da diverse tragedie e presto la Frame (interpretata da Kerry Fox) ha iniziato a sentirsi diversa dagli altri.

Grazie ad una borsa di studio, ha studiato pedagogia, ma mentre si trovava nel college ha tentato il suicidio e venne internata per otto anni in un istituto psichiatrico. Qui gli venne diagnosticata la schizofrenia e fu sottoposta a ben 200 elettroshock. Si trovò sul punto di essere sottoposta ad una lobotomia, ma venne salvata grazie al premio letterario vinto con il suo primo libro. La scrittrice abbandonò così la struttura psichiatrica e continuò a scrivere costruendosi una brillante carriera letteraria, ma la depressione, che era ciò di cui realmente soffriva, non l’ha mai abbandonata.

Vale la pena ricordare che, trattandosi di un film sulla vita della scrittrice, la regista non si concentra troppo nei sintomi depressivi, ma introduce una prospettiva sociale molto interessante della depressione, che ci porta a capire l’influenza che ha l’ambiente nell’apparizione di questa patologia.

 

Sylvia_movieSylvia (2003). Il film racconta gli ultimi cinque anni della vita di Sylvia Plath. Nel ruolo della protagonista incontriamo una Gwyneth Paltrow che non riesce a farci entrare pienamente nell’angoscia vissuta dalla poetessa, ma anche così, il film è un ottimo esempio delle emozioni che prova una persona che soffre di depressione e la sua lotta costante per la vita, mentre prova la sensazione che qualcosa la sta trascinando verso un baratro.

Sylvia Plath, morta suicida a soli 31 anni, aveva già di fatto tentato il suicidio durante la sua adolescenza. Il film ci mostra una donna prigioniera dell’angoscia, vittima dei fantasmi che lei stessa aveva creato, insoddisfatta della vita che conduceva e intrappolata nella dipendenza emotiva da suo marito, Ted Hughes, che è l’elemento scatenante del suicidio.

 

Fonte: angolopsicologia.com